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Essenzialità del termine

 

Alcuni rapporti contrattuali prevedono che entrambe le parti eseguano le proprie prestazioni contestualmente al loro perfezionamento: lo sperimentiamo, magari senza rendercene conto, più e più volte ogni giorno quando acquistiamo un bene in un negozio, quando facciamo la spesa, quando timbriamo il biglietto del tram etc.

Altre volte, invece, è stabilito (per una o per entrambe le parti), un termine dilatorio per l'esecuzione della propria prestazione: l'esempio tipico è la sottoscrizione di un contratto preliminare (ad esempio, di compravendita immobiliare) con fissazione di un termine entro il quale dev'essere sottoscritto il contratto definitivo.

In questi casi, l'aspetto più delicato riguarda la valutazione dell'essenzialità del termine pattuito, posto che solo in ipotesi di essenzialità la parte che non esegue tempestivamente la propria prestazione sarà inadempiente.

Sul punto la Cassazione ha ritenuto che "il termine può ritenersi finale ed essenziale solo qualora le parti in tal modo lo abbiano espressamente considerato, sia pure senza l'uso di formule solenni, o se tale natura risulti dal contratto, dovendo, in contrario, ritenersi che il termine per la conclusione del contratto definitivo costituisca un ordinario termine dilatorio di adempimento delle obbligazioni negoziali e la relativa scadenza non determina di per sé la risoluzione del contratto e l'automatica caducazione del relativo vincolo e della detta clausola" (Cass. civ. Sez. I, 11.04.2011, n. 8216 ).

In altre parole, alla luce del costante orientamento della Suprema Corte, quando una parte contraente ritiene essenziale il termine pattuito per l'esecuzione della prestazione della controparte (esempio di scuola: la sposa che commissiona il proprio abito nuziale), dovrà opportunamente evidenziare nel contratto le ragioni dell'essenzialità.

 

 

 

Il procedimento di sfratto può essere avviato anche da parte di uno solo dei comproprietari

 

In Italia sono tantissimi i privati che scelgono di investire i propri risparmi nell'acquisto di un appartamento da locare (o, come impropriamente si dice nel linguaggio di tutti i giorni, da "affittare").

Può, purtroppo, accadere che l'inquilino prescelto non paghi i canoni pattuiti, oppure che ponga in essere una condotta incompatibile con la prosecuzione del rapporto contrattuale (ad esempio: sublocando l'appartamento a terzi senza informare i proprietari, etc.).

Cosa fare, in questi casi, quando l'appartamento è di proprietà di una pluralità di persone che, ipoteticamente, non sono d'accordo circa le azioni da avviare nei confronti del conduttore?

La risposta ce la fornisce direttamente la Suprema Corte, la quale ha precisato che non è configurabile alcun litisconsorzio necessario fra i comproprietari, così che ciascuno di essi, autonomamente, potrà avviare il procedimento di sfratto:

"Qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, così come, dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l'adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarietà di cui all'art. 1292 c.c., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori. (Fattispecie relativa alla ritenuta ammissibilità di un procedimento di sfratto per morosità azionato solo da parte di alcuni coeredi dell'originaria locatrice)" (Cass. civ. Sez. III, 22.06.2009, n. 14530, in Mass. Giur. It., 2009 ).

L'obbligo per i genitore di concorrere al mantenimento dei figli perdura sino alla loro indipendenza economica

 

Il telegiornale, tutte le sere, ci ricorda le difficoltà che incontrano i giovani ad inserirsi nel mercato del lavoro.

Stage non retributi, contratti a progetto o a tempo determinato, oppure ancora master e specializzazioni da frequentare per arricchire il proprio curriculum e sperare in un'offerta di lavoro più appetibile e corrispondente al proprio profilo professionale: per un giovane, oggi, l'età in cui conquistare, finalmente, l'agognata indipendenza economica slitta sempre di più.

Questa situazione, oltre che i diretti interessati, riguarda anche i loro genitori che - sempre più spesso - dovranno farsi carico del mantenimento dei figli più a lungo rispetto a quanto era accaduto loro.

Fermo restando l'amore genitoriale, l'obbligo di mantenimento dei figli può portare a situazioni di accentuata conflittualità fra i coniugi (o ex coniugi) quando si tratta di farvi fronte mediante la corresponsione di un assegno, nell'ammontare che è stato determinato dal Giudice all'esito del giudizio di separazione o divorzio. 

Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che tale obbligo non si esaurisce automaticamente al compimento della maggiore età del figlio, nè alla conclusione del suo percorso scolastico, bensì prosegue sino alla sua effettiva indipendenza economica.

"L'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 c.c., non cessa, "ipso facto", con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso " (Cass. civ. Sez. I, 26.09.2011, n. 19589 , in , , , , CED Cassazione, 2011).
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Il risarcimento in ipotesi di danni da insidie stradali

 

Quante volte, ogni giorno, ci lamentiamo per una strada sconnessa, per una buca non segnalata, per un tombino in rilievo che ci fa inciampare?

Accade anche - per fortuna, meno frequentemente - che queste insidie causino la caduta di un pedone, la rottura delle sospensioni di un'automobile etc. 

In questi casi, per ottenere il risarcimento del danno patito, occorre rivolgersi a chi ha legalmente la custodia della strada che - nella maggior parte dei casi - è un Ente Territoriale (il Comune, la Provincia etc.).

La Cassazione, con un orientamento ormai consolidato, è tuttavia intervenuta per circoscrivere la risarcibilità dei danni alle sole ipotesi in cui - in concreto - la custodia sulla strada dissestata può essere effettivamente esercitata;  secondo il citato orientamento, più ci si allontana dalle strade principali e da quelle maggiormente trafficate, minore è l'obbligo di dilengente custodia gravante sull'Ente...come dire: se proprio devi cadere, fallo in un'elegante via del centro...!

Cass. civ. Sez. III, 28/09/2012, n. 1654 0: "ai fini dell'applicabilità della responsabilità per danni da cose in custodia exart. 2051 c.c. occorre individuare la possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, da considerarsi meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti. Con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità della configurabilità della possibilità in concreto della custodia deve essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato".

Responsabilità medica e onere della prova

 

Uno degli ambiti più delicati della responsabilità contrattuale è quello che concerne il risarcimento del danno patito in occasione di interventi medici / chirurgici o in conseguenza di una degenza ospedaliera.

Dopo aver chiarito la natura contrattuale di codesta responsabilità (c.d. contratto di spedalità, approfondiremo la questione in un futuro articolo), la Suprema Corte è intervenuta a disciplinare il riaparto dell'onere probatorio fra il paziente danneggiato ed il medico / la struttura ospedaliera: "nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l'attore ha l'onere di allegare e di provare l'esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l'onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest'ultimo, invece, ha l'onere di provare che l'eventuale insuccesso dell'intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile" (Cass. civ. Sez. III, 09.10.2012, n. 17143, in CED Cassazione 2012).

L'attuale orientamento della Cassazione giova senz'altro al paziente infortunato, il quale viene esonerato dall'onere di provare la condotta colpevole del medico / dell'ospedale, sui quali - viceversa - graverà l'onere di aver agito correttamente.

La scelta appare senz'altro condivisibile, posto che le competenze mediche del (presunto) responsabile del sinistro gli consentiranno una prova a discarico senz'altro più agevole rispetto all'opposto onere cui dovrebbe far fronte il paziente danneggiato.

 

 

Avv. Pietro Lucchini
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